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Ciclista e assicurazione: la vicenda

Questa è la storia di Pasqualino Talpo, un ciclista piemontese di Alessandria che, stando a testimonianze riportate, stava percorrendo una strada provinciale quando improvvisamente è stato tamponato da una Ford Focus condotta da una signora del luogo. L’impatto è stato violentissimo e Talpo è caduto sull'asfalto. Nonostante il caschetto protettivo, è morto in pochi giorni. Visto il primo rifiuto da parte della compagnia assciurativa, la famiglia del ciclista ucciso si è rivolta ad uno studio esterni per la determinazione di dinamiche e responsabilità, al fine di tutelare la propria posizione: secondo il consulente tecnico nominato dal Tribunale di Alessandria “la causa del sinistro deve attribuirsi esclusivamente alla condotta di guida dell’indagata che, per ragioni da ricondurre alla sua sfera soggettiva, non ha avvistato l’ostacolo costituito dalla bicicletta" Dal punto di vista civile nessun problema nello stabilire la dinamica e tutti concordano nell'affermare la responsabilità della donna, ma la questione assicurativa sta nell'analisi del significato attribuibile ad "attività agonistica". Infatti l'assicurazione era stipulata dalla società a cui apparteneva Talpo per lo svolgimento di attività agonistiche da parte dei propri atleti. Secondo la compagnia assicurativa, l'allenamento di Talpo non rientrerebbe tra le attività agonistiche, in quanto non autorizzato e non riconosciuto da alcuna federazione o ente sportivo.

I motivi del rifiuto della compagnia d'assicurazione

L'assicurazione stipulata prevedeva il risarcimento ai beneficiari o agli eredi in caso di morte di una somma pari a 80 mila euro, ricomprendendo nella casistica possibile anche gli infortuni occorsi in occasione degli allenamenti, anche individuali (come in questo caso). La compagnia però risponde così alla richiesta della famiglia di risarcimento: “Non potremo dar seguito alla gestione della pratica né ad alcun indennizzo poiché la garanzia prestata dalla polizza del contraente non era operante in quanto l’attività svolta dal signor Talpo in occasione dell’infortunio non era né riconosciuta né autorizzata dalla A.C.S., come previsto dal capitolato” Non è bastato neppure un attestato di conferma della società sportiva la quale dichiara: “Confermiamo che il giorno dell’incidente il signor Pasqualino Talpo era in fase di allenamento con la divisa della nostra società. Ribadendo che nessuno è tenuto a comunicare le uscite di allenamento, è comunque logico e scontato che, se un atleta è iscritto a una società e fa regolare attività, ogni volta che esce in allenamento lo fa per se stesso e per la squadra, indipendentemente dal fatto che sia un agonista o un cicloturista”. La compagnia continua a opporre resistenza e a rifiutarsi di pagare, nonostante la clausola contrattuale dia valenza al risarcimento anche in caso di allenamento in solitaria.

Un "Comportamento inaccettabile"

Pesanti le parole del presidente dello studio tecnico esterno a cui ora è affidata la tutela e la gestione della pratica da parte della famiglia del ciclista ucciso: "Questa persona era regolarmente assicurata e l’infortunio rientra appieno nelle condizioni previste dalla polizza. Troviamo inaccettabile che le compagnie di assicurazione guadagnino miliardi e abbiano bilanci sempre in attivo e poi trovino tutte le scappatoie e gli escamotage possibili e immaginabili pur di non indennizzare le persone per ciò di cui hanno diritto e anche bisogno: qui parliamo di un nucleo familiare in cui è venuto meno anche il sostegno economico con la morte del capo famiglia. Ci batteremo con tutte le nostre forze per rendere loro giustizia e ciò che gli spetta”.