scatola nera

Scatola nera: costa più di quello che fa risparmiare. Le compagnie assicurative rispondono così all’iniziativa del ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera che, attraverso l’introduzione del recente contratto base, obbliga gli operatori di settori a proporre alla clientela l’installazione di dispositivi di controllo a distanza. L’obiettivo è noto dai tempi del famigerato Decreto Liberalizzazioni. Tramite la cosiddetta “scatola nera”, congegno che registra le performance dell’automobile, è possibile misurare e registrare il tipo di percorso, la velocità dell’automobile, lo stato di manutenzione e l’usura di determinati componenti, lo stile di guida del conducente. È possibile, ad esempio, valutare accelerazioni e frenate, assieme a tutti quegli elementi che servono a ricostruire in modo preciso i fatti, in caso di incidente stradale. O di truffa. Sì perché lo scopo implicito di queste apparecchiature è combattere tutti quei raggiri che oggi, nel nostro paese, sono una delle principali cause  dei rincari delle polizze RC Auto. Arginare le truffe per abbassare i premi pagati dagli assicurati: un ragionamento che sembra filare, almeno in apparenza. Ci hanno pensato le stesse compagnie assicuratrici a spiegare che, no, non sarà così. Conti alla mano, se per caso tutti gli automobilisti decidessero di installare le scatole nere sul proprio veicolo, il costo complessivo dell’operazione si aggirerebbe attorno ai 3,1 miliardi. Senza contare che la manutenzione di ciascun apparecchio è di circa 75 euro l’anno. Soldi che le compagnie dovrebbero recuperare dal prezzo versato dall’automobilista per l’RC Auto, aumentando i premi delle polizze invece che diminuirli.   In alternativa, per tornare pari in tempi accettabili, il costo medio di ciascun incidente dovrebbe ipoteticamente diminuire di percentuali che variano dal 13 al 131% (cifra matematicamente irraggiungibile). Insomma, bene l’idea delle black box per arginare truffe e incidenti sospetti, ma è impensabile obbligare le compagnie a inserire nel contratto base l’installazione di questi dispositivi. Un’iniziativa, quest’ultima, che prende le mosse da una recente lettera dell’Ivass (ex Isvap) dell’aprile 2012. Redatta senza una corrispondente analisi costi/benefit. Motivo che aveva portato Ania, l’associazione delle imprese assicuratrici, a ricorrere al Tar del Lazio. Questa dei costi delle polizze è solo l’ennesima tegola che si abbatte sulla scatola nera made in Italy. In un primo momento, a decreto già scritto e pubblicato, era emerso il problema dell’omologazione dei dispositivi. In commercio ce ne sono decine. Per un problema strettamente burocratico, il testo aveva omesso le caratteristiche da rispettare per considerarne alcuni “a norma”. Registrazione dati raccolti, performance, tipo di informazioni registrate, privacy: tutte parole che hanno acceso la polemica e alimentato le legittime preoccupazioni di consumatori e associazioni di categoria. Siamo arrivati così al 25 gennaio scorso, quando sulla Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato un nuovo testo che specifica caratteristiche e funzionalità dei dispositivi elettronici atti a registrare le attività di un veicolo. Le apparecchiature dovranno essere sigillate, alimentate e agganciate a elementi fissi e stabili del veicolo. Dovranno misurare posizione, velocità, accelerazione, garantendo al 99% il proprio funzionamento e la genuinità dei dati raccolti (niente manomissioni, quindi). Dovranno avere un GPS compatibile con la rete Galileo, un accelerometro triassiale e un’elevata tolleranza ai traumi, in modo da non sfasciarsi al primo urto. Scheda GPRS, memoria flash e RAM, assieme a un dispositivo wireless a due direzioni – per ricevere e comunicare i dati – e a una batteria ricaricabile completano la ricca dotazione. Tutto a posto, quindi. Poi, se i prezzi delle polizze RC Auto dovessero aumentare invece di diminuire, beh, quello è un altro discorso.