Il filtro antiparticolato per motori a benzina, noto come GPF (Gasoline Particulate Filter), è oggi la principale tecnologia per contenere le emissioni da veicoli a benzina e per rispettare le più recenti normative europee in materia di inquinamento.
Introdotto su larga scala a partire dal 2018 con le normative Euro 6C e in seguito Euro 6D, è diventato ormai uno standard per i motori a benzina. La sua funzione consiste nel trattenere le particelle sottili in uscita dallo scarico, in modo da ridurre fino al 90% le emissioni di particolato numerico.
Il GPF si posiziona in prossimità del catalizzatore, integrandosi con esso in un’unica unità per ottimizzare lo spazio. La rigenerazione avviene in maniera spontanea durante la marcia: le temperature elevate favoriscono la combustione del particolato, ripulendo il filtro in maniera autonoma.
La scelta di introdurre il GPF è conseguenza del mutato scenario delle emissioni automobilistiche. Studi recenti dimostrano che i motori a iniezione diretta di benzina emettono quantità di particolato non trascurabili, talvolta paragonabili a quelle dei motori diesel non dotati di filtro.
Come funziona il GPF nei motori a benzina
Il GPF sfrutta un monolite in ceramica porosa, con canali chiusi alternati, che costringe i gas di scarico ad attraversare le pareti alveolari, intrappolando le particelle più fini. La rigenerazione avviene in modo passivo e continuo, grazie alle alte temperature raggiunte dai gas di scarico nei motori a benzina, in genere superiori ai 400 °C, che eliminano il particolato accumulato senza necessità di interventi esterni.
La principale differenza rispetto ai filtri per motori diesel è la temperatura operativa. Nei motori a benzina, il GPF lavora in condizioni termiche più elevate, il che favorisce un processo di rigenerazione più semplice e automatico. Durante la rigenerazione, le particelle trattenute vengono bruciate e trasformate in gas, così da liberare spazio nel filtro per il successivo ciclo di filtraggio.
Il controllo e la gestione del GPF sono affidati alla centralina elettronica, che monitora la pressione differenziale e la temperatura del filtro. Quando i parametri indicano un accumulo eccessivo di particolato, il sistema predispone la rigenerazione per evitare l’occlusione.
L’unico nodo da sciogliere riguarda l’uso cittadino frequente e a bassa percorrenza. In tali condizioni, i gas di scarico non raggiungono l’energia termica necessaria per completare la rigenerazione, meccanismo fondamentale per limitare le emissioni di particolato, insieme di particelle molto dannose per l’ambiente.
Che cos’è il particolato e perché è dannoso
Il particolato generato dai motori a benzina, conosciuto anche come PM (Particulate Matter), è costituito da microscopiche particelle solide e liquide derivanti dalla combustione incompleta del carburante, classificate in PM10, PM2.5 e particelle ultrafini inferiori a 0,1 µm. Queste particelle, una volta emesse nell’atmosfera, possono penetrare nel sistema respiratorio umano fino agli alveoli polmonari, con effetti potenzialmente gravi sulla salute.
Il particolato fine e ultrafine è molto pericoloso perché non viene filtrato dal tratto respiratorio superiore e può raggiungere il flusso sanguigno.
Secondo numerosi studi, l’esposizione prolungata a queste particelle è correlata all’aumento di malattie cardiovascolari, di problemi respiratori cronici e di patologie oncologiche. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha più volte sottolineato l’urgenza di contenere questo tipo di inquinanti, anche a causa della loro capacità di accumularsi nell’ambiente.
Nel caso dei motori a iniezione diretta a benzina, le particelle generate sono spesso più piccole e numerose rispetto a quelle dei motori tradizionali. Questo rende ancora più necessaria la presenza di un sistema di filtraggio efficace come il GPF. A differenza degli impianti di abbattimento degli NOx o dei sistemi catalitici, il filtro antiparticolato agisce in modo meccanico trattenendo le particelle, per cui è una barriera imprescindibile.
Le direttive europee in materia di qualità dell’aria impongono ai produttori di veicoli il rispetto di limiti sempre più stringenti, misurati non solo in laboratorio ma anche tramite test su strada per conoscere la portata reale delle emissioni.
Quando sostituire il filtro GPF per evitare problemi
In assenza di anomalie, il GPF è progettato per avere una vita pari a quella del veicolo. Può infatti durare tra i 130.000 e i 150.000 chilometri.
I sistemi di bordo avvisano il conducente nel momento in cui il GPF presenta livelli anomali di saturazione o inizia a compromettere le prestazioni del motore. Segnali come perdita di potenza, aumento dei consumi o accensione di spie specifiche sono indicazioni di un potenziale problema al filtro. I problemi al filtro possono essere causati da:
- una rigenerazione incompleta. Se si percorrono soltanto brevi tragitti urbani, il filtro non raggiunge le temperature necessarie per la giusta ossidazione del particolato. La centralina, rilevando un aumento della contropressione, può segnalare un errore. In questo caso, è consigliabile percorrere una tratta più lunga per consentire la rigenerazione naturale;
- un accumulo di cenere e residui. Anche con rigenerazioni regolari, vi sono depositi minerali che possono in modo graduale saturare il filtro. Un lubrificante può aiutare a preservare la funzionalità a lungo termine;
- dei danni meccanici. Sollecitazioni esterne come urti o shock termici possono compromettere l’integrità del monolite interno. In questi casi, l’unica soluzione è la sostituzione.
La sostituzione del GPF è un’operazione complessa e più o meno costosa a seconda del modello del veicolo. In alcuni casi, se il filtro non è danneggiato in modo irreversibile, è possibile procedere con una pulizia professionale effettuata in officine specializzate attraverso procedure termiche o chimiche controllate. I macchinari sono in grado di rimuovere gli accumuli di cenere e ristabilire la corretta funzionalità del GPF.