Calci di rigore: una lotteria che va oltre il calcio
Provate a chiedere al bosniaco Faruk Hadžibegić cosa vuol dire sbagliare un calcio di rigore. Abbasserà la testa, si toccherà i capelli, sempre più radi, e ripenserà a quel torrido pomeriggio di Firenze, del 30 giugno 1990, quando un suo penalty sbagliato cambiò i destini di un paese.
Hadžibegić – come racconta magistralmente Gigi Riva, caporedattore de L’Espresso, nel bellissimo libro L’ultimo rigore di Faruk (Sellerio) – era il capitano dell’ultima nazionale jugoslava. La partita contro l’Argentina di Maradona, nei quarti di finale del Mondiale italiano, portò all’eliminazione di una squadra “dotata di un enorme talento ma dilaniata da rinascenti odi etnici“. Il rigore è un simbolo, un’onta, ma rappresenta molto di più dell’evento in sé: “Leggenda popolare vuole – il passo è ancora tratto dal libro – che una eventuale vittoria nella competizione avrebbe contribuito al ritorno di un nazionalismo jugoslavista e scongiurato il crollo che si sarebbe prodotto qualche anno più tardi”
Così accadde per il romanzo popolare. Ecco perché un rigore non è solo un rigore, e la nostra storia è costellata di errori di campioni. “E più passa il tempo –  citando ancora Riva – più la benevolenza prevale sul rimprovero. L’eroe soccombente è comunque eroe. Ettore non è meno valoroso di Achille, nel suo lato fragile anche più simpatico”
Rigori della Nazionale Italiana: il ragazzo dell’oratorio e l’indio
Mondiali 1990: l’Argentina sembra la vittima sacrificale di un Mondiale che dobbiamo vincere noi. Perché si gioca a casa nostra, perché le notti magiche sono tinte di azzurro e su ogni balcone d’Italia c’è una bandiera. Quella di Napoli sembra una formalità , ma per la prima volta ci pareggiano e la paura ci porta fino ai calci di rigore. Fino al terzo i nervi reggono.
Per il quarto rigore si presenta sul dischetto Donadoni, il ragazzo che viene dall’oratorio. Faccia pulita, Mondiale perfetto. Tiro non abbastanza angolato. Goycochea, l’indio che ha preso il posto del titolare Pumpido, para. Maradona gioca a bocce con Zenga e l’ultima rigore spetta ad Aldo Serena, bomber dell’Inter. El Goy resta fermo e prende anche quella.
L’Italia va a casa, anzi ci resta, per la più atroce delle delusioni.
Rigori della Nazionale Italiana: almeno uno Pagliuca lo para
Quattro anni dopo, a rigori, si decide addirittura una finale. Quella del mondiale americano contro il Brasile. Ci siamo arrivati stanchi, sfiniti e sfavoriti, ma abbiamo dalla nostra un ottimo portiere: “Almeno uno Pagliuca lo para“. E infatti prende il rigore di Marcio Santos. Noi però sbagliamo con Franco Baresi, rientrato miracolosamente da un infortunio al menisco. Le sue lacrime faranno il giro del mondo.
Poi sbaglia Massaro e infine va sul dischetto Roberto Baggio. Il suo non è un rigore decisivo, è un tiro di speranza. Se segna possiamo ancora sperare in Pagliuca. La rincorsa è la solita ma il suo tiro finisce alto, in un luogo imprecisato di Pasadena. Leggenda narra che quel pallone tirato dal giocatore italiano più famoso di sempre, non sia mai tornato sulla terra.
IÂ calci di rigore sulla traversa
A Parigi, nel 1998, sono ancora calci di rigore. Questa volta giochiamo con la Francia. Due anni prima, agli europei inglesi, è ancora un rigore ad andarci di traverso. Quello sbagliato da Zola contro la Germania, nella terza partita del girone eliminatorio. Finita l’era Sacchi, è Cesare Maldini a guidare gli azzurri. Il papà di Paolo ha una grande intuizione, si chiama Gigi Di Biagio, ed è il centrocampista rivelazione di quei Mondiali.
Il tiro decisivo spetta proprio a lui, nella serie di rigori contro la Francia. Ancora una volta Pagliuca fa il suo e para il tiro di Lizarazu, ma non basta. Sbaglia Albertini, ma soprattutto sbaglia Gigi, che stampa il suo tiro sulla traversa e crolla a terra come folgorato. La Bandabardò gli dedicherà una canzone, la Francia vincerà i Mondiali.
Rigori della Nazionale Italiana: l‘elogio della perfidiaÂ
Due anni dopo, finalmente, troviamo la più bella delle vendette. È quello che Paolo Condò, giornalista di Sky e di Rivista 11, ha definito “l’elogio della perfidia”.  L’Olanda gioca in casa, domina, si ritrova dal 35′ del primo tempo in 11 contro 10, sbaglia due rigori nei tempi regolamentari. Toldo, dopo aver parato il primo non la smette un attimo di ridere “come se anziché giocare la partita la stesse guardando già registrata, già informato del risultato, e quindi del godimento“.
Sbaglierà Maldini, ma l’Olanda ne fallirà tre, e Totti farà il cucchiaio. Se la perfidia è un’arte, quella sera siamo stati Picasso, una volta tanto. Dimenticheremo i rigori fino al 2006, ma anche quelli saranno rigori di zucchero. Perfetti, come i tiratori scelti da Lippi. Nervi di ferro e molta psicologia. Non a caso Lippi sceglierà come ultimo rigorista Fabio Grosso, l’uomo dell’ultimo minuto contro l’Australia e contro la Germania. L’uomo baciato dalle stelle in quel luglio tedesco.
Il cucchiaio dichiarato
Due anni dopo, contro la Spagna, torneremo ad assaporare l’amaro dei rigori sbagliati. Questa volta sono De Rossi e Di Natale a dare il là al ciclo meraviglioso della Spagna. L’europeo polacco-ucraino passerà alla (nostra) storia per il cucchiaio di Pirlo ad Hart, quello francese, purtroppo, per il mancato cucchiaio di Pellé a Neuer. Promesso, ma mai realizzato. In fondo il cucchiaio non si dichiara, si fa.
C’è chi parla di paura, chi di arroganza, noi preferiamo parlare di un errore di valutazione. Come la rincorsa ardita di Zaza, come i dubbi nella testa di Bonucci, quando si sarà chiesto “Lo tiro dallo stesso lato di prima o cambio?“. E alla fine cambi, ma senza la giusta convinzione.
Ma i rigori li sbaglia solo chi ha il coraggio di tirarli. Che cambino la storia di un Europeo, di un Mondiale o di un Paese intero, come nel caso di Faruk, poco importa. Il brasiliano Kakà ha teorizzato la fiducia in se stessi come arma per la riuscita: “Quando piazzi la palla sul dischetto devi essere convinto che farai gol perché la porta diventa sempre più piccola e il portiere più grande“.
Chiedete a Zaza come gli è sembrata piccola quella porta mentre si accorgeva di aver sbagliato la traiettoria della rincorsa. O a Pellè quanto gli è sembrato grande Neuer dopo averlo incautamente sfidato. E rispondete a questa domanda: siete ancora sicuri che sia così semplice?
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