Qualsiasi professionista ha sempre messo in conto un “piano di carriera”, volto a creare una stabilità economica e sociale che potesse rendere la vita più facile e sicura.
Negli ultimi anni l’idea di strutturare un avanzamento di carriera, fino al raggiungimento del grandino aziendale più alto per conquistare l’amata stabilità, è svanita nel nulla. Il posto fisso, quello tanto desiderato, sudato e combattuto non rappresenta lo step finale di un percorso sempre più in salita.
Un’analisi condotta da Manageritalia, l’associazione di settore, sui dirigenti italiani (1300 figure professionali) mostra che oggi più del 30% ha cambiato azienda o tipo di lavoro, percentuale mai salita sopra il 20% fino a qualche anno fa. Il posto di lavoro diventa sempre più dinamico, mobile, in particolare per le “sfere più alte” dei settori commerciali. Si cambia sempre più spesso, non solo azienda, ma anche contratto, retribuzione o settore di riferimento.
Cosa spinge un manager a cambiare posto di lavoro?
– La crisi economica, che colpisce indistintamente ogni settore, ha portato le grandi multinazionali italiane e straniere al taglio di budget d’investimento e al rifacimento delle squadre, che risultano più compatte ed economiche.
– Il voler cercare un ambiente più stimolante e competitivo, questo perché si è sempre più consapevoli che il futuro sarà sempre differente da quello che vediamo, conosciamo e costruiamo oggi. L’aggiornamento professionale, in passato riservato solo a determinate categorie e in periodi prestabiliti, è diventato quotidiano e crossmediale.
– Il costo professionale alto, spesso porta le aziende in crisi a tagliare la parte gestionale della produzione. Il 29% del campione preso in analisi è stato espulso o licenziato dall’azienda per motivi contrattuali. Professionisti che hanno sempre più difficoltà a reinserirsi nel mercato del lavoro perché troppo esperti/costosi o troppo giovani/anziani.
– Il contesto lavorativo flessibile, richiesto al manager dalle aziende per operare in un contesto finanziario sempre più complesso e incerto, rende il professionista più “aperto” alle proposte esterne. Il manager/dirigente non è il posto fisso e sicuro, desiderato fino al decennio scorso, che possa rappresentare il punto di arrivo per un professionista.
La situazione mostra come, in un periodo breve, l’accezione del termine flessibilità abbia subito una sorta di “ampliamento”. Una veste non del tutto positiva, con tutti i suoi pro e contro. Una flessibilità che porta la figura professionale a essere sempre più aggiornata, competitiva, “multicanale” e aperta al mercato internazionale ma anche capace di accettare un ridimensionamento della paga, di spostamenti territoriali, di declassamenti di categoria e mutazioni contrattuali. Una situazione non proprio rosea, in cui la crisi economica e finanziaria hanno reso quel posto fisso, per cui hanno combattuto i nostri padri, qualcosa di evanescente.
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