C’è un argomento che da qualche tempo si ritrova con cadenza giornaliera nelle prime pagine dei quotidiani nazionali e sulle tabelle di marcia dei mezzobusto italiani. Parlo del Jobs Act, un tema che ispira curiosità perché riguarda un bene prezioso, il lavoro, ma che non riusciamo a inquadrare bene perché le parole manifeste e le reali opinioni dei politici si rincorrono senza mai incontrarsi
Questa è l’Italia, prendere o lasciare. Continuano a sfornare aggiornamenti e notizie sul Jobs Act, ma alcuni punti sono poco chiari. Anzi, spesso c’è buio totale sull’argomento. E sai qual è il modo migliore per risparmiare, per investire bene le risorse, per vivere bene il nostro tempo: conoscere il mondo che ci circonda. Ecco perché ora voglio dedicare un po’ di inchiostro virtuale al Jobs Act.
Le origini del Jobs Act
Jobs Act. Rapido ed efficace. Proprio come la comunicazione al tempo di Renzi: via comunicati stampa e faldono di carte, avanti tweet e keynote. Però la soluzione “Jobs Act” non è stata partorita dal premier italiano ma da Barack Obama.
Nel 2011 il Presidente degli Stati Uniti comunicò a reti unificate l’American Jobs Act (fonte): un piano da 447 miliardi di dollari che doveva prevedere riduzione delle tasse, sgravi, incentivi all’assunzione, una politica adeguata ai sussidi per la disoccupazione. Un piano fantastico quello di Obama, che purtroppo non ha avuto seguito.
Un seguito che, invece, ha avuto il JOBS Act: Jumpstart Our Business Startups Act. Con questo provvedimento del 2012 Obama ha posto l’accento sull’economia delle startup, e più in generale delle imprese emergenti in crescita. Certo, non è un’azione totalizzante, ma rappresenta un buon contributo all’economia americana che soffre ancora di dualismo del mercato del lavoro:
Una parte troppo piccola dei nuovi posti che si creano qui in America sono altamente qualificati e ben remunerati. Un’altra parte, ancora troppo vasta, sono invece lavori sottopagati. Perciò anche gli Stati Uniti si pongono il problema di avere nel loro sistema “più Silicon Valley e meno fast-food”.
Ecco, più Silicon Valley. D’altro canto Obama aveva già puntato molto sull’innovazione digitale. Nello storico discorso agli studenti delle scuole americane, il Presidente degli Stati Uniti d’America aveva piantato semi decisivi per la nascita di futuri Jobs e Gates. Non riducetevi a usare il telefonino: costruitene uno. Non scaricate l’ultima app: programmatela.
Ispirare i giovani, proporre un’azione economica che permetta di snellire le procedure per aprire e sviluppare una start-up. Una linearità invidiabile.
Cosa è il Jobs Act in Italia
Anche in Italia (o soprattutto in Italia) c’è la necessità di rinnovare la regolamentazione legata al mondo del lavoro. Ecco perché il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha preso spunto dall’azione di Obama per proporre il suo Jobs Act. Ma di cosa si tratta esattamente?
Prendiamo spunto dalla pagina ufficiale del Ministero del Lavoro: il 12 marzo 2014 è stato presentato, di fronte a una selva di giornalisti, il Jobs Act. Ovvero quello che viene definito come piano per il lavoro. Non un singolo provvedimento ma una vera e propria operazione per il rilancio del lavoro in Italia.
Obiettivo sacrosanto: è proprio questo che manca. Le operazioni del Jobs Act dovrebbero suddividersi in tre grandi sottoinsiemi non semplici da affrontare nel nostro paese:
- Rilancio dell’occupazione
- Riformare il mercato del lavoro
- Sistema delle tutele
Tra gli elementi più significativi del Jobs Act di Matteo Renzi c’è anche il decreto legge per il contratto di lavoro a termine e di apprendistato, ma l’attenzione è tutta per l’articolo 18. Uno degli elementi che attira l’attenzione sul Jobs Act è proprio questo: la necessità , secondo i legislatori, di riformulare il concetto di tutela del lavoro.
La guerra sull’articolo 18
L’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, infatti, tutela i dipendenti di aziende che superano i 15 dipendenti dai casi di licenziamento illegittimo (quindi effettuato senza alcun motivo). Questo elemento, secondo alcune forze politiche ed economiche, rappresenta un duro ostacolo per le imprese che vogliono investire in Italia: Bruxelles e la Banca Centrale Europea chiedono a gran voce, da circa tre anni, il rimodernamento del mercato del lavoro in Italia e l’abolizione dell’articolo 18 (fonte).
Un ultimatum? Più o meno. Così Matteo Renzi, nel suo programma “Mille Giorni” ha deciso di rispettare gli ordini impartiti dal cuore dell’Europa. E per farlo non esiterà a utilizzare tutte le opzioni, compreso l’uso del decreto legge.
Perché il decreto legge?
Il decreto legge è un atto normativo provvisorio avente forza di legge che dovrebbe essere utilizzato solo in casi estremi. Esempio? Una calamità ha bisogno di un provvedimento immediato perché non si possono aspettare i tempi del Parlamento? Si usa il decreto legge. Una formula che però deve essere trasformate in legge dopo 60 giorni altrimenti decade.
Il “sì” di Giorgio Squinzi
Quindi l’idea di Matteo Renzi è questa: rinnovare il mercato del lavoro attraverso il Jobs Act e attirare la benevolenza dell’Europa attraverso una rivisitazione (secondo i sindacati europei trattasi di distruzione) dell’articolo 18. Questa soluzione piace alle agenzie di rating, in particolar modo a Moody’s che per la prima volta spende parole di apprezzamento nei confronti dell’Italia. Piace anche a Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, che ha sempre dichiarato la sua avversità nei confronti dell’articolo 18:
Parlando in tutto il mondo ci dicono che in Italia non si può investire perché c’è l’articolo 18, che quando assumi un dipendente è per la vita e che i vincoli posti sono insormontabili. È un moloch che va abbattuto una volta per tutte.
Nonostante l’euforia per la rivisitazione dell’articolo 18 e le altre novità della legge di stabilità , Confindustria non è d’accordo sulla possibilità di inserire il TFR (ovvero il trattamento di fine rapporto) in busta paga. Secondo Matteo Renzi questi sono soldi dei lavoratori, e dovrebbero essere i singoli a decidere come gestirli. In questo modo si potrebbe, già dall’anno prossimo, aumentare il potere d’acquisto sommando la presenza del TFR in busta paga con la già approvata manovra degli 80 euro in più in busta paga.
E i freelance?
Niente da fare. Se da un lato Renzi dà sostegno alla busta paga dei dipendenti, dall’altro sembra che ci sia poca attenzione nei confronti di chi lavora con Partita IVA. Anzi, sembra che sia prossima la stangata verso il regime dei minimi con imposta sostitutiva Irpef  al 5% che passeranno a un’aliquota del 15%.
Il futuro del lavoro in Italia
Il Jobs Act si preannuncia come un lavoro difficile, ricco di ostacoli, ma l’Italia non può andare avanti senza una reale rivoluzione nel mondo del lavoro. Abbiamo bisogno di flessibilità per agevolare gli investimenti in Italia, ma dobbiamo anche garantire ai lavoratori dei diritti per evitare che le imprese non sfruttino il concetto di mobilità solo per fare un tragico turn over di contratti atipici.
Alessandro
Prendere o lasciare