Trump è il 45° Presidente nella storia degli Stati Uniti d’America. Una vittoria netta quanto sorprendente quella del Tycoon, non pronosticata degli esperti e per quasi tutta la campagna anche dai risultati dei sondaggi. Decisivo per Trump soprattutto il voto dei Grandi Elettori (290), venti in più rispetto a quelli necessari per ottenere la maggioranza e, conseguentemente, l’elezione formale a presidente. Hillary si ferma a 218, dato incontrovertibile di una debacle spietata e inaspettata che ha lasciato di stucco gran parte dell’establishment a stelle e strisce.
Dopo otto anni di governo democratico sarà un membro repubblicano il nuovo inquilino della Casa Bianca.
Trump: un’ascesa inarrestabile
Eppure i primi dati in tempo reale dello spoglio sembravano confermare le previsioni della vigilia, con la Clinton avanti. Una tiepida impressione che minuto dopo minuto sembrava sempre meno reale e che ha lentamente trasformato i sorrisi ottimistici dello staff Clinton in una vero e proprio dramma collettivo.
Trump dal canto sua ha avuto il merito mantenere le roccaforti repubblicane, vincere il decisivo confronto negli Stati ancora in bilico (Florida ed Ohio), ma soprattutto strappare alla rivale alcuni Stati che sulla carta venivano considerati in mano ai democratici.
Già dopo poche ore è stato chiaro che il vento stesse cambiando. I dati e le reazioni dei protagonisti confermavano che Trump stava riuscendo nel suo miracolo: vincere le elezioni seppur avversato da una rilevante parte del suo stesso partito. Le ultime fasi dello spoglio hanno trasformato le sensazioni in certezza: Trump ha infatti chiuso incamerando i seggi di Stati come l’Alaska e l’Arizona storicamente repubblicani e di altri, il Wisconsin, il Michigan e la Pennsylvania che dai sondaggi parevano destinati ai democratici.
Anche il voto popolare, seppur molto più equilibrato, premia “The Donald”: è suo il 47,9% delle preferenze, contro il 47,3% della sua contendente. Un dato anch’esso inaspettato, ma che certamente sorprende meno rispetto a quello dei grandi elettori. Nonostante brusche variazioni il parere dei cittadini è sempre parso abbastanza in bilico, seppur pro Clinton.
I titoli di coda sono arrivati però con la consueta telefonata da parte dello sconfitto a cui ha fatto eco la prima dichiarazione da vincitore di Trump, molto poco nel suo stile, forse dettata dalla consapevolezza del cambio di ruolo: “Hillary ha combattuto sino alla fine, io sarò il presidente di tutti”.
Il percorso di insediamento del nuovo Presidente
La vittoria delle presidenziali è però soltanto la prima di diverse tappe che portano all’insediamento del nuovo Presidente alla Casa Bianca. Segue infatti un altro momento cruciale, la riunione dei “Grandi Elettori”– fissata precisamente “il primo lunedì che segue il secondo mercoledì del mese di Dicembre” – nei diversi Stati per eleggere formalmente il Presidente ed il vice-Presidente. La votazione avviene su due schede distinte ed il conseguente risultato viene trascritto su un certificato inviato poi al Presidente del Senato per effettuare un conteggio ufficiale davanti al Congresso.
Altra tappa è quella che del 6 Gennaio a Washington che vede il Congresso riunito in seduta comune e presieduto, solo per questa particolare occasione, dal vice-Presidente dove si procede al conteggio delle schede pervenute dai diversi Stati. È qui che finalmente avviene la proclamazione ufficiale del Presidente. Alle ore 12 del 20 Gennaio il Presidente può entrare finalmente in carica prestando il celebre giuramento nelle mani del Giudice Capo (Chief Justice) della Corte Suprema.
In questo periodo, tra il voto e l’insediamento, è il Presidente uscente a mantenere tutti i poteri e le prerogative di tale figura.
Elezioni presidenziali 2016: le reazioni internazionali
Incredulità che trapela anche nelle prime dichiarazioni extra USA. Su tutte quella del Governo francese che pare fosse tanto certo della vittoria della Clinton da avere pronta solo la lettere di congratulazioni per la candidata democratica. Sempre lato Francia è il Ministro degli Esteri Jean Marc Ayrault a parlare per primo della vittoria Trump: “Una parte dei nostri concittadini ha l’impressione di essere stata abbandonata, declassata. Quelli che non votavano più oggi sono andati a votare”.
Parole poi per L’Unione Europea, sempre più sotto assedio tra Brexit e l’elezione Trump: “l’Europa non si deve piegare, deve essere più solidale, più attiva, non dobbiamo chiuderci su noi stessi”.
Sono infatti le posizioni isolazioniste di Trump a preoccupare l’UE. Nella lettera di congratulazioni scritta congiuntamente dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk e quello della Commissione Jean Claude Juncker è netta la volontà di scongiurare possibili allontanamenti: “Oggi è più importante che mai rafforzare le relazioni transatlantiche. Non dovremmo risparmiare alcuno sforzo per assicurare che i legami tra noi restino forti e duraturi”.
Da Berlino trapela “forte choc” per l’elezione Trump, con la ministra della Difesa Ursula von der Leyen che parla di un voto “contro Washington, contro l’establishment”.
Per l’Italia le prime dichiarazione post presidenziali sono state del Ministro degli Esteri Gentiloni: “L’Italia continuerà con l’amicizia e la collaborazione con gli USA, queste cose non cambiano, così come non cambia la nostra contrarietà al protezionismo e alle chiusure”. Di congratulazioni le parole del premier Matteo Renzi: “Mi congratulo con il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Gli auguro buon lavoro. L’amicizia Italo-americana è solida”.
Certamente più positiva la reazione di Putin, i cui buoni rapporti con Trump non sono mai stati nascosti. In un telegramma di congratulazione il leader si augura che i “rapporti russo-americani possano uscire dalla crisi”.
Trump: la reazione dei mercati
La prima e forse più preoccupante nota di reazione ai risultati delle presidenziali arriva però dai mercati. Come previsto dagli analisti in questi giorni la scelta di Trump non piace, tanto che prima della constatazione della vittoria erano bastati i dati elettorali a generare dure ripercussioni sui mercati finanziarie valutari.
Il peso, la valuta messicana, ha segnato un -5% rispetto al dollaro, palesando le possibili ripercussioni sui rapporti USA-Messico di cui Trump ha parlato numerose volte in campagna (tra cui l’ormai celeberrimo possibile muro).
Le Borse asiatiche sono state le prime a registrare il meno nei listini: Tokyo, partita bene, ha poi avuto una netta inversione con un crollo del 5,45%. Fa eco Hong Kong con un -3,59%.
Primi segnali negativi anche da Wall Street, con un calo dei future a Borsa chiusa. Una situazione che non poteva toccare anche l’Europa e l’Italia: Piazza Affari ha aperto a -2,4%.
Resta da comprendere se queste turbolenze saranno passeggere o se i mercati dopo lo shock iniziale sapranno metabolizzare la novità Trump. Molto dipenderà anche dalle scelte politiche che il Tycoon, soprattutto in campo economico e internazionale.
Ugo
I malumori del mercato confermano, se pur ce ne fosse stato bisogno, che i grandi poteri economici si spaventano quando chi parrebbe aver un maggior appoggio da parte delle masse “incolte” prevale su chi è sponsorizzato da un’élite culturale benpensante (patinata d’impegno sociale), dalle varie emanazioni della massoneria, e persino dalle lobbies gay.
Speriamo serva di segnale ai governanti di casa nostra per ricordarsi che i temi della difesa delle identità (etniche, culturali e religiose) e dei confini se anche parlano alla “pancia” premiano e perciò vanno assecondati, non derisi.
mmorselli
Ci sono temi che vanno semplicemente combattuti, non derisi, non assecondati. Se si perde nel farlo, pazienza, non è che se domani scoprissimo che la maggioranza della popolazione reintrodurrebbe le leggi razziali allora in qualità di governanti dovremmo assecondarla per prendere voti. Ci sarà chi lo farà, distinguendosi da chi non lo farà. Le minoranze di oggi possono diventare maggioranze di domani, ma possono farlo svendendosi ad una maggioranza pre-esistente, o provando a convincere più persone possibili della bontà della propria idea.