Fuorigioco: la settima giornata di serie A
Se è vero che in Inghilterra e in Germania stanno raccogliendo i frutti di un lavoro sui giovani e sulle infrastrutture iniziato 20 anni fa, ed è evidente che in Liga giochino gli extraterrestri, qui da noi stiamo approfittando di una decade meno spettacolare e di un dominio assoluto e incontrastato – quello della Juventus – per impostare nuovi progetti.
Gli esempi virtuosi non mancano: il Sassuolo di Di Francesco, i giovani terribili del Milan di Montella, la cantera interista di De Boer, il Napoli tutto corsa e collettivo di Sarri (ok, ieri ha steccato, ma spiegherò perché), il Chievo, e che Chievo, di Maran. Un allenatore troppo sottovalutato dal nostro calcio. Se aggiungiamo che la settima giornata si è chiusa con uno spettacolare Roma – Inter, e chi se ne frega se il demerito è delle difese, a vederne più spesso di partite così, scoprirete che in fondo questo campionato già chiuso non è poi così male. Anche oggi ci sono sei buoni motivi per discutere di Serie A con gli amici:
- Llamarse Bomber: da Icardi a Higuain, la classifica marcatori di questa Serie A parla soprattutto argentino. Bestiale l’attaccante juventino, un goal ogni 60 minuti. Dopo le chiacchiere estive, i dubbi sulla sua presunta forma fisica, Gonzalo Higuain è tornato. Cioè, magari non se ne è mai andato, infatti ha ripreso da dove aveva lasciato: dai gol. Implacabile, come sempre. Segna tanto, aiuta la squadra e incarna quello spirito juventino, guerriero e coraggioso, chiamato ad imporsi anche in Europa. Gonzalo Higuain c’è, e si vede. La sua presenza è quasi ingombrante. Togliete il “quasi”. Paulo Dybala dovrà imparare a coesistere con un altro fenomeno in campo e a ritagliarsi uno spazio importante all’interno della squadra. Nonostante tutto. Nonostante, Gonzalo Higuain.
- Il maestro e l’allievo: circa 200 km dividono Genova e Bergamo. Due città diverse, un credo calcistico simile che passa da una generazione di allenatori all’altra. Da Gasperini a Juric. Entrambi propongono uno stile di gioco aggressivo e veloce, pressing asfissiante e qualche randellata (a fin di bene, sia chiaro). Basta e avanza per mettere in difficoltà  il Napoli di Sarri che soffre tatticamente la marcatura a uomo e l’aggressività degli avversari, soprattutto lontano dal San Paolo. Da Gasperini a Juric, maestro e allievo. Dal Genoa all’Atalanta. Non sarà facile per nessuno, neanche per la Juventus. Unica consolazione per Sarri: per il girone di andata non deve affrontare più nessuna delle due.
- Il pentacampeon: se avesse giocato la finale di Berlino del 2015, non avrebbero avuto vita facile, nemmeno Messi, Neymar e Suarez, potete giurarci. Ma scherzi a parte, sembra quasi scontato definirlo un talismano o un semplice uomo squadra. Simone Padoin è molto di più. Mai un mugugno o una parola fuori luogo. Quando l’hanno ceduto al Cagliari i tifosi della Juventus si sono sentiti orfani dell’uomo che si è cucito sul petto cinque, dico cinque, scudetti. Uno che, consapevole dei suoi limiti tecnici si mette al servizio della squadra e quando ce n’è bisogno segna. A Cagliari Simone sta dimostrando che non è solo un portafortuna, è molto di più. È un giocatore utilissimo, che ha vinto più scudetti di molti suoi talentuosissimi colleghi celebrati (anche in settimana).
- 20 anni di Chievo: Lupatelli, Moro, D’Anna, D’Angelo, Lanna, Eriberto, Perrotta, Corini, Manfredini, Corradi/Cossato, Marazzina. Ve li ricordate? Era primo Chievo, quello dei miracoli, allenato da Gigi Del Neri. Difficile e quasi pericoloso paragonare questo Chievo di Maran, un allenatore bravissimo, a tutte le latitudini, da Catania a Verona. Tuttavia il Chievo vince, diverte e fa sognare. 13 punti in sette partite. In attesa di rivedere il Verona ( l’altra squadra di Verona) in Serie A, una cosa è certa: il Chievo è una regola. Da 20 anni. Tanto che sorge un dubbio: come mai in due decadi questa squadra non è riuscita a crearsi un proprio pubblico? I nati nel ’90 (che oggi hanno 26 anni), e i nati nel 2000 (che ne hanno 16) dovrebbero tifare Chievo, invece lo stadio è ancora vuoto come 10 anni fa. Forse, fra tante virtù, non è stata proprio un’idea geniale quella di fare il verso alla prima squadra della città , l’Hellas. Dai colori (che all’inizio erano biancoblu) allo stemma del Cangrande. Non sarebbe ora di crearsi una propria identità , dopo 20 anni?
- Luci a S.Siro: Milan-Sassuolo non è mai una partita qualsiasi. È quasi un classico del nostro calcio. Diventata ormai una realtà del nostro calcio, la squadra di Di Francesco è da sempre la bestia nera del Milan. Dal famoso poker di Berardi, con conseguente esonero dell’allora allenatore rossonero, Massimiliano Allegri, ai quattro gol scaccia-fantasmi del Milan di ieri sera. Spesso accusata di avere poca personalità , la squadra di Montella, questa volta non sbaglia e ribalta l’1-3 degli emiliani, che sembravano padroni del campo. Non sono mancate le emozioni, le giocate e i grandi gol. Da Politano a Locatelli (il suo pianto, l’immagine più bella della giornata), da Niang a Pellegrini. È stata una partita divertente e che ha fatto divertire. Il Sassuolo è una realtà e la cantera milanese fa ben sperare. Ci è piaciuta talmente tanto che prendiamo per buona anche la polemica di Di Francesco: “Il Milan è troppo più forte di noi, in tutti i sensi“. Una frecciata all’arbitro? Delicata.
- Dzeko ritrovato: non è stato un periodo semplice per il giocatore bosniaco, aspramente criticato dopo le sei palle gol non sfruttate contro il Torino. Per non parlare della scorsa stagione, fischi e mugugni e l’impressione che il bosniaco si fosse intristito per sempre. Mai particolarmente amato tra le fila giallorosse, si riprende la scena con una prestazione decisa e soprattutto con il gol. Un trampolino di lancio per ritrovare fiducia e cercare di ripetere quello che aveva fatto a Wolfsburg, quando in coppia con Grafite era riuscito a vincere la Bundesliga, segnando 26 goal in 32 partite. La prestazione contro l’Inter, al di là dei gol, è forse la migliore da quando è Italia. Meglio tardi che mai, Dzeko.
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