Il TFR (trattamento di fine rapporto) è una somma che, mensilmente, il datore di lavoro conserva per conto del lavoratore. Ogni mese dunque il datore di lavoro mette da parte una piccola somma di denaro che verrà poi corrisposta nel momento in cui cesserà il rapporto di collaborazione.
Si tratta in sostanza di una sorta di “salvadanaio” che potrebbe essere utile al lavoratore per vari motivi come gestire la transizione da un lavoro all’altro o realizzare un progetto arrivato il momento della pensione.
Tassazione TFR: come si determina
Il TFR costituisce un reddito e dunque va tassato. Le imposte relative al TFR però non vengono liquidate attraverso la dichiarazione dei redditi, ma finiscono in tassazione separata. La tassazione TFR infatti segue una logica del tutto diversa rispetto alla normale IRPEF.
L’imposta viene determinata in base agli anni di servizio o alle frazioni di essi, il che comporta una tassazione più bassa rispetto all’ordinario. Una volta ottenuto il TFR al netto delle imposte bisogna però sapere che il Fisco ridetermina nuovamente l’imposta in base all’aliquota media di tassazione dei 5 anni precedenti a quello in cui hai maturato il diritto ad incassare il TFR.
Nel caso in cui l’imposta liquidata dal Fisco sia superiore a quella già versata nel momento in cui si riceve il trattamento di fine rapporto, l’Agenzia delle Entrate ti chiederà direttamente la differenza.
Calcolo TFR
Ma quanto vale il TFR? Il trattamento di fine rapporto corrisponde a circa un mese di stipendio per ciascun anno.
Nel dettaglio bisogna dividere l’importo lordo annuo per 13,5. Tale importo viene poi rivalutato negli anni successivi applicando un tasso fisso pari all’1,5% più un tasso pari al 75% dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall’ISTAT, rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente.
Per calcolare le somme dovute a titolo di trattamento di fine rapporto, bisogna tenere conto della retribuzione mensile, della tredicesima e, per il lavoratore che consuma due pasti al giorno e dorme in casa, dell’indennità sostitutiva del vitto e dell’alloggio.
I calcoli variano a seconda del periodo a cui si riferisce il servizio. Bisogna comunque distinguere tre periodi, ai quali corrispondono tre diverse modalità di calcolo del trattamento di fine rapporto (TFR) come precisato sul sito dell’INPS.
- Il primo periodo arriva fino al 31 maggio 1982;
- il secondo periodo va dal 1° giugno 1982 al 31 dicembre 1989;
- il terzo periodo dal 1° gennaio 1990 in poi.
In Rete sono disponibili moltissimi calcolatori online per poter determinare l’importo del TFR che andrai a riscuotere alla fine del rapporto di lavoro, indicando stipendio loro annuo e date di inizio e fine del contratto di lavoro.
Sappiamo tutti però che lo stipendio si compone di una miriade di voci e non tutte contribuiscono a formare la base di calcolo per il TFR. Tra le diverse voci escluse segnaliamo i rimborsi spese e i premi una tantum (a rigor di logica nella base entreranno le voci ordinarie relative alla retribuzione). Per farti fare dunque un calcolo preciso, chiedi pure all’azienda oppure al tuo commercialista o anche a un patronato.
In alternativa si può evincere il dato dall’ultimo Modello Cud ricevuto dal datore di lavoro, dove è riportata la cifra complessiva lorda accantonata.
TFR o fondi pensione?
Da qualche anno il lavoratore ha una scelta da compiere: lasciare il TFR in azienda oppure destinarlo ad un fondo pensione. Come orientarsi in questa scelta?
Dipende dalle necessità di liquidità del lavoratore o dai propri progetti futuri. I fondi pensione possono rendere più di quanto si ottiene con la rivalutazione annuale del TFR lasciato in azienda, quindi nel momento in cui il lavoratore maturerà il diritto ad andare in pensione, andrà a riscuotere una cifra più elevata.
Per contro, se si sceglie un fondo pensione, non si potrà riscuotere il TFR di volta in volta quando vengono interrotti i rapporti di lavoro in essere.
Anticipo TFR
Se il lavoratore deve affrontare delle spese impreviste e/o consistenti ha la possibilità di chiedere al proprio datore di lavoro un anticipo sul TFR. Bisogna però rispettare alcune condizioni:
- bisogna avere un’anzianità lavorativa di almeno 8 anni;
- l’anticipo non può superare il 70% del TFR accumulato al momento della richiesta.
L’anticipo può essere concesso esclusivamente per destinarlo ad alcune tipologie di spesa:
- spese sanitarie per interventi straordinari riconosciuti dalle strutture sanitarie pubbliche o private;
- acquisto della prima casa per sé e per i figli, se si è in comunione dei beni la spesa può essere sostenuta anche dal coniuge;
- spese sostenute in caso di congedo facoltativo per maternità, dal momento che la lavoratrice percepisce un reddito ridotto al 30%;
- spese durante i congedi per la formazione extralavorativa o per la formazione continua.
Il datore può rifiutare l’anticipo al dipendente nel caso in cui questo sia già stato richiesto dal 10% del lavoratori aventi diritto o comunque dal 4% dei dipendenti in azienda.
C’è però anche il rovescio della medaglia: il datore di lavoro, anche se non si sono maturati gli 8 anni previsti, può capitare che il datore di lavoro, per determinate motivazioni o perché avete un buon rapporto, decida di concederti l’anticipo del TFR.
Se però la tua azienda si trova in stato di crisi dichiarato, sappi che qualunque tua richiesta non sarà accolta: in questo caso infatti non è possibile richiedere un anticipo del TFR.
Importante: se continui a lavorare nella stessa azienda, puoi chiedere l’anticipo del TFR un’unica volta.
TFR: la liquidazione in caso di dimissioni o licenziamento
Quando il rapporto di lavoro si conclude, che sia perché sei stato licenziato o perché hai dato le dimissioni, come lavoratore hai sempre diritto alla liquidazione, questo non solo se hai un contratto a tempo indeterminato, ma anche se il lavoro è a tempo determinato, di poche ore a settimana, con contratto a chiamata, ecc…, ossia qualora ci sia un contratto di lavoro subordinato.
Non è invece previsto per chi aveva un contratto a progetto, né per chi ha un contratto di collaborazione né per chi ha un lavoro accessorio, ossia pagato con i voucher. Quindi TFR previsto per i contratti di lavoro subordinato, non previsto per le altre tipologie.
Il TFR si ottiene anche se il rapporto di lavoro si conclude durante il periodo di prova, ma solo se superiore ai 15 giorni.
TFR: cosa fare quando si cambia lavoro
E cosa succede, nella scelta del TFR, se invece cambi lavoro e passi da una azienda all’altra? A chiarire le procedure in questo caso è la COVIP, sigla che sta per Commissione di vigilanza dei fondi pensione.
L’iter è questo: il nuovo datore di lavoro dovrà chiederti una dichiarazione che attesti quale scelta hai effettuato in passato in merito al TFR ossia se hai scelto di lasciarlo in azienda o destinarlo a un fondo complementare mentre il vecchio datore di lavoro dovrà confermare, tramite una dichiarazione, la scelta che hai fatto all’epoca.
Se per caso i rapporti tra te e questa azienda non fossero distesi o non dovessi ottenere questo documento per qualche motivo, ti basterà presentare la copia del modulo che hai firmato ai tempi o la copia del modulo di adesione al fondo pensione.
Quanto al datore di lavoro nuovo dovrà:
- comunicare le opzioni disponibili per il TFR;
- farti firmare l’apposito modulo se nei precedenti rapporti se, nei precedenti rapporti, ha destinato il TFR alla previdenza complementare e successivamente ha perso i requisiti per parteciparvi, senza riscattare la propria posizione;
- darti copia firmata della dichiarazione conservando l’originale in azienda;
- attestarne la scelta al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Tu come lavoratore invece dovrai appunto consegnare la dichiarazione con la precedente scelta di destinazione del TFR ed effettuare una nuova scelta, tra le varie possibili:
- Cioè se in passato hai deciso di lasciare il TFR in azienda e ora vuoi metterlo in un fondo pensione nulla ti vieta di farlo;
- Se invece lo avevi destinato a un fondo pensione e riscattato la posizione individuale alla cessazione di quel rapporto, devi attestare di aver completato la procedura ed effettuare una nuova scelta entro 6 mesi dall’assunzione. In caso contrario, il TFR sarà destinato al fondo pensione negoziale o Fondinps, mentre la parte maturata nei primi 6 mesi resterà in azienda;
- se invece hai destinato l’intero TFR a un fondo pensione senza aver riscattato la posizione individuale al termine dell’impiego puoi mantenere tale scelta, se valida anche per il nuovo datore o indicare una nuova scelta entro 6 mesi dall’assunzione, se il nuovo rapporto fa perdere i requisiti di iscrizione al fondo. Gli effetti di questa decisione saranno validi a partire dal giorno in cui vieni assunto. Nel caso in cui non faccia la sua scelta entro questo termine, il TFR che matura a partire dalla data dell’assunzione verrà destinato al fondo pensione negoziale o Fondinps.
- Se invece hai destinato parte del TFR a un fondo pensione e non lo ha riscattato al momento della cessazione del rapporto di lavoro, puoi mantenere questa opzione nello stesso modo, ossia solo parte, se il contratto nazionale di lavoro applicato è lo stesso o se quello nuovo lo consente. Il resto del TFR resta in azienda. In alternativa, puoi scegliere di destinare il TFR al fondo prescelto. Tali scelte andranno effettuate entro 6 mesi dall’assunzione, con effetto dallo stesso termine. Diversamente, il TFR andrà al fondo pensione negoziale o Fondinps.
Il TFR se l’azienda fallisce
In caso di fallimento dell’azienda, le ultime tre mensilità dello stipendio e il TFR sono pagati, ai dipendenti, dal Fondo speciale istituito presso l’INPS.
La procedura per ottenerli non è immediata: intanto i dipendenti devono prima assicurarsi che il datore di lavoro sia stato dichiarato fallito, poi devono insinuarsi alla procedura ed essere ammessi, infine è necessario che lo stato passivo venga dichiarato esecutivo (fase del procedimento fallimentare che ha il fine di accertare i crediti che l’azienda, prima del fallimento, non ha pagato).
Una volta avvenuto ciò, il dipendente può presentare una domanda all’INPS (secondo il modulo scaricabile dal sito e previamente firmata dal curatore fallimentare).
Per dichiarare davvero fallita un’azienda, questa deve avere maturato un debito uguale o superiore a 500.000 euro, un attivo patrimoniale pari ad almeno 300.000 euro e ricavi lordi di almeno 200.000. In un caso come questo, ti consigliamo di rivolgerti comunque a un sindacato per fare in modo che tu riceva quanto ti spetta.
Attenzione che il procedimento potrebbe durare mesi quindi potrebbe passarne anche 12 prima che tu ottenga quanto richiesto.
TFR in busta paga
A partire dall’aprile 2015 e fino a giugno 2018, in via sperimentale il lavoratore può richiedere direttamente al datore di lavoro che il TFR anziché finire in un accantonamento, venga liquidato direttamente in busta paga. Questo significa uno stipendio mensile più consistente ma nessuna buona uscita alla fine del rapporto di lavoro. Conviene? La risposta anche in questo caso è: dipende.
Il lavoratore deve valutare attentamente se questa maggiore liquidità immediata valga il prezzo di una tassazione maggiore. Il TFR in busta paga fa infatti cumulo col reddito da lavoro e quindi non andrà più in tassazione separata (che è più bassa di quella ordinaria). L’altra variabile da considerare è la rinuncia al “gruzzolo” futuro che ovviamente verrà diluito negli stipendi mensili.
TFR in busta paga: chi può richiederlo
Attenzione: per richiedere il TFR in busta paga, bisogna che il lavoratore sia assunto da almeno 6 mesi. Inoltre, non tutti possono richiederlo. Ecco chi ne è escluso:
- i lavoratori dipendenti domestici;
- i lavoratori dipendenti del settore agricolo;
- i lavoratori dipendenti per i quali il contratto collettivo nazionale di lavoro prevede già la corresponsione periodica del TFR o l’accantonamento del TFR medesimo presso soggetti terzi;
- i lavoratori dipendenti da datori di lavoro sottoposti a procedure concorsuali;
- i lavoratori dipendenti da datori di lavoro che abbiano iscritto nel Registro delle Imprese un accordo di ristrutturazione dei debiti;
- i lavoratori dipendenti da datori di lavoro che abbiano iscritto presso il Registro delle Imprese un piano di risanamento attestato;
- i lavoratori dipendenti da datori di lavoro per i quali siano stati autorizzati interventi di integrazione salariale straordinaria e in deroga;
- i lavoratori dipendenti da datori di lavoro che abbiano sottoscritto un accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti.
TFR in caso di divorzio all’ex moglie o all’ex marito
Si tratta di una notizia di qualche giorno fa: il TFR va all’ex moglie o all’ex marito anche in caso di divorzio se appunto l’ex coniuge non si è sposato nuovamente e pure se sono passati 10 anni.
A dirlo è stata una sentenza del Tribunale di Torino che ha ordinato a un ex agente assicurativo di versare ben oltre 94mila euro più interessi e spese processuali per la liquidazione ricevuta nel 2014, a 10 anni di distanza dal divorzio.
A dire il vero, che una percentuale vada alla persona che si è sposati in passato, è previsto dalla Legge 01/12/1970, n. 898 Art. 12 bis, ossia la Legge sul Divorzio e la percentuale non è bassa: si tratta del 40% del trattamento di fine rapporto.
Questo perché si riferisce “agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio”. Infatti il 40% non è dovuto, ma va rapportato all’arco di durata del matrimonio coincidente con il periodo di lavoro.
E l’arco di durata del matrimonio comprende anche l’eventuale periodo di separazione legale, e questo fino a che non arriva la sentenza di divorzio. Ricorda, infatti, che è solo quando il tribunale dichiara ufficialmente che un matrimonio è finito, che lo è davvero anche dal punto di vista dei diritti civili.
TFR in caso di morte del lavoratore
Purtroppo può succedere che il lavoratore muoia prima di potersi godere il suo trattamento di fine rapporto, in questo caso il TFR spetta agli eredi e questo anche se hanno rifiutato l’eredità o l’hanno accettata con il “beneficio dell’inventario“.
Con quest’ultima espressione, si intende una sorta di accettazione dell’eredità con “riserva”, vale a dire che si distingue tra quello che è il patrimonio del defunto e quello che è il patrimonio dell’erede. Ciò fa sì che l’erede risponda di eventuali debiti del defunto solo attraverso il patrimonio ereditato.
Questo vale anche se il lavoratore purtroppo morto lo è da molto tempo dopo la cessazione del rapporto di lavoro (dovuta a licenziamento o dimissioni): gli eredi hanno diritto a percepire il TFR e le eventuali mensilità non corrisposte purché non siano passati 5 anni, dopo tale termine si verifica la prescrizione.
Cosa succede se il datore di lavoro non contatta gli eredi per dare loro il TFR, eventuale indennità di mancato preavviso e altre mensilità? Devono essere gli eredi a farne richiesta con raccomandata A.R.
A poterlo fare sono la moglie o marito, i figli e parenti entro il terzo grado se conviventi. Alla richiesta devono essere allegati: stato di famiglia, certificato di morte del lavoratore, atto notorio che attesta lo stato di convivenza di parenti ed affini e copia del testamento, qualora ci sia.
Grazia Cerino
Come posso liquidare un lavoratore domestico che ha lavorato per otto mesi per due volte alla settimana,e per 3 ore ogni volta, percependo ogni tre ore £25?