Lo avrai di certo sentito dire: tra le novità del Jobs Act c’è quella di avere eliminato i contratti a progetto e di avere ridotto quelli di collaborazione coordinata e continuativa. Eppure ti è capitato che qualche datore di lavoro te lo proponesse o hai sentito che è capitato a un tuo amico. E allora: contratti a progetto sì o no? Cerchiamo di capirlo in questo articolo.
Contratto a progetto: cos’è e le caratteristiche
Intanto, iniziamo con il fare qualche passo indietro: il contratto a progetto è – ma forse meglio dire “era” – una tipologia di contratto di lavoro autonomo, detto anche parasubordinato che, appunto – e almeno sulla carta – non presupponeva vincoli di subordinazione.
Il lavoratore che riceveva un incarico con un contratto a progetto, lo poteva svolgere nel modo, nel tempo e nel luogo che più si adattavano alle sue esigenze. Introdotto dal D. Lgs. 276/2003 che è stata l’attuazione della Legge 30/2003, la famosa Legge Biagi, in origine era nato proprio per porre un freno ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ossia i co.co.co e cercare di regolamentare i rapporti di collaborazione.
A regolare, successivamente, questa tipologia di contratti è stata la Legge n.92 del 2012, meglio conosciuta come Riforma Fornero, fino appunto ad arrivare al Jobs Act. Le caratteristiche del contratto a progetto sono:
- Lavoro autonomo;
- Il contratto doveva essere sempre redatto per iscritto;
- Doveva essere indicato sul contratto il progetto per il quale veniva assegnato l’incarico e il risultato finale da conseguire. Tale indicazione andava fatta in maniera dettagliata e precisa e nel caso fosse mancata, il contratto a progetto si trasformava automaticamente in contratto a tempo indeterminato;
- Nessun vincolo di subordinazione né di orari né per quanto riguardava il luogo di lavoro, diversamente, il contratto a progetto poteva essere reputato finto e trasformarsi in contratto di lavoro subordinato.
Contratto a progetto 2016: cosa è successo con il Jobs Act
No ai nuovi contratti a progetto
Tutto questo era valido fino all’introduzione del Jobs Act – o anche D.Lgs 81/2015 – che si è posto come obiettivo proprio quello di eliminare del tutto l’uso distorto di queste tipologie di contratto. Per questo, dal 25 giugno 2015, quando è entrato in vigore il decreto legislativo, nessun datore di lavoro può stipulare nuovi contratti a progetto.
Eliminazione dei contratti a progetto esistenti
E per chi aveva già un contratto a progetto nel giugno 2015? Anche in questo caso la legge è stata chiara: proprio a partire dal primo gennaio di quest’anno questo tipo di contratti decade, pena il fatto di trasformarsi subito in contratti di lavoro subordinato, ossia a tempo determinato o a tempo determinato.
Per altro, tutte le aziende che hanno stabilizzato i propri collaboratori a progetto nel 2015, hanno usufruito della sanatoria che ha estinto le violazioni connesse riguardo al rapporto di lavoro precedente, facendo firmare un accordo di conciliazione tra datore di lavoro e lavoratore per cui quest’ultimo rinuncia a qualsiasi rivendicazione giudiziaria, ossia a fare causa, e il datore si impegna a non licenziarlo per un anno.
Il decreto legislativo ha previsto inoltre che dall’1 gennaio si trasformino in rapporti di lavoro subordinato tutti i rapporti di collaborazione che prevedono:
- prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo
- le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal datore di lavoro sia per quanto riguarda i tempi che il luogo di lavoro
Le eccezioni: albi professionali, CCNL, associazioni e società sportive
Questo vuol dire che il co.co.pro si è del tutto estinto? Non proprio o meglio, non esiste più il co.co.pro in quanto tale, ma sopravvivono alcuni rapporti di collaborazione coordinata e continuativa definita, alla luce del Jobs Act “genuina”. Ossia si tratta di una collaborazione vera e non finta quando appunto il lavoratore appunto può esercitare la sua professione in maniera autonoma e, come dicevamo sopra, senza che appunto ci sia un “vincolo di esclusività”, personalizzazione e che sia costretto ad andare in un posto di lavoro nei giorni e negli orari indicati. Diversamente si parla di “presunzione di subordinazione”.
Attenzione: sono esclusi da questa “presunzione di subordinazione” e quindi seguono una specifica regolamentazione i rapporti di collaborazione che sono regolati dalla contrattazione collettiva. Questo perché ci possono essere particolari ragioni produttive e organizzative riguardo a un determinato settore che vengono regolate dai vari CCNL e dalle associazioni sindacali.
Considerando queste premesse, si possono avere delle collaborazioni coordinate e continuative in questi casi:
- collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali. Ci spieghiamo meglio: se sei iscritto all’Albo degli ingegneri e ti propongono un contratto di questo tipo questo può essere valido;
- attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
- prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
Per questi 3 casi, più quelli regolati da appositi CCNL, è dunque possibile attuare un co.co.co purché appunto non sia vincolante.
Lavori nella Pubblica Amministrazione? Sappi che a partire dall’1 gennaio 2017 non si potranno più stipulare contratto di questo tipo.
Contratto a progetto e call center
Ma non finisce qui: tra le varie eccezioni sui co.co.co (e non co.co.pro che lo ricordiamo è comunque stato abolito, anche se il co.co.co è quasi sulla stessa linea) ci sono i call center. In via sperimentale e fino al 31 dicembre 2018, il 14 luglio 2016 è stato firmato un accordo per cui è possibile attivare una collaborazione coordinata e continuativa per i call center outbound, servizi non di telefonia e realizzati attraverso operatori telefonici da parte delle quattro associazioni aderenti a Confcommercio – Ancic, Asseprim, Assintel, Federtelservizi – e Filcams-Cgil, Fisascat-Cisl, Uiltucs-Uil, Nidil-Cgil. In questo caso vengono anche indicate le figure professionali che possono avere un rapporto di co.co.co. Per sapere quali sono queste figure ti invitiamo a leggere l’accordo.
Contratto a progetto: la retribuzione
Per quanto riguarda la retribuzione, sostanzialmente per il contratto a progetto veniva previsto il pagamento del progetto intero che datore di lavoro e lavoratore potevano decidere di suddividere in delle rate mensili o bimestrali/trimestrali, in modo che il collaboratore ottenesse qualcosa che potesse essere simile a uno stipendio, sebbene appunto non dovesse essere considerato come tale.
Non essendo un dipendente, ma un collaboratore autonomo, la sua retribuzione deve essere proporzionata alla quantità del lavoro eseguito e alla qualità. Inoltre, in ogni caso, non può essere – come precisato dalla Riforma Fornero – inferiore al minimo retributivo previsto dal contratto collettivo di quel particolare settore lavorativo. Più in dettaglio, la retribuzione del collaboratore a progetto dev’essere equivalente a quella del lavoratore dipendente della stessa azienda: il CCNL di riferimento, dunque, è quello applicato nell’azienda che “assume” il collaboratore.
In assenza di questa, bisogna rifarsi ai minimi dei contratti collettivi per il lavoro subordinato, applicati nel settore di riferimento, alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del collaboratore a progetto.
Contratto a progetto: i contributi
Ok per quanto riguarda la retribuzione, ma come funzionava per i contributi/stipendio loro e stipendio netto? Sempre fermo restando che appunto il contratto a progetto non dovrebbe essere più applicato (tranne i casi di cui sopra, sebbene poi assuma un altro nome), i contributi INPS venivano calcolati così: 2/3 a carico del datore del datore di lavoro, 1/3 a carico del lavoratore.
L’obbligo di versamento compete dunque al committente anche per la quota a carico del lavoratore, che viene pertanto trattenuta in busta paga all’atto della corresponsione del compenso.
Tutti i collaboratori a progetto devono essere, per quanto riguarda la situazione pensionistica, iscritti alla Gestione Separata Inps e versare i contributi secondo l’aliquota prevista per l’anno in corso. Nel 2016, l’aliquota della Gestione Separata e di tutti coloro che hanno contratto come parasubordinato (quindi progetto, co.co.co ecc…) sarebbe dovuta essere (visto l’aumento previsto negli anni scorsi) del 31,72%, ma è stata bloccata al 27,2%.
Contratto a progetto e disoccupazione 2016
Tra le novità dell’ex Governo Renzi, c’è anche l’indennità di disoccupazione per chi aveva un contratto a progetto. Chiamata Dis. Coll, viene erogata per un massimo di 6 mesi. Ne parliamo nell’articolo che abbiamo dedicato alla Naspi e altre indennità.
Ester Vannini
ma le graduatorie di co co co che rimangono aperte si annullano e le amministrazioni devono fare nuovi concorsi? oppure arrivano a scadenza della graduatoria cioè se la graduatoria dura tre anni, nel 2017 e nel 2018 si può chiamare da quelle graduatorie? e nel caso le persone siano chiamate da quella graduatoria, come vengono contattualizzate? con un contratto di co co co oppure ? e quelli già presi a lavorare nel 2016 come continuano per il tempo del contratto? diventano tempi indeterminati?
il 2017 è già qui e nessuno sa niente di certo .
Doriana
Con il contratto a progetto una persona può beneficiare nello stesso tempo, della disoccupazione?
Doriana
In contemporanea al contratto a progetto si può beneficiare della disoccupazione!?