La musica ha sempre fatto parte dell’umanità: veniamo concepiti e ci sviluppiamo dentro all’utero materno, accompagnati dal battito cardiaco di nostra madre. Il cuore, con il suo “suono”, ci accompagna per tutta la vita.
Siamo nati con il ritmo, siamo nati per fare ed ascoltare musica, chi più chi meno: non esiste nessuno, ripeto nessuno al mondo, che dica che la musica non gli piace, tutti vi diranno che la amano, mai che la odiano.
Va da sè che il mondo delle note è da sempre un proficuo business, un enorme e sfaccettato mercato che ha trovato in Internet una nuova linfa, una opportunità immensa.
La guerra delle lobby ai software di condivisione come Napster non è servita assolutamente a nulla, se non a far si che i software siano rinati, con altri nomi e con protezioni particolari che ne impediscono la tracciabilità.
Realtà come Emule e BitTorrent sono conosciutissime, funzionali e legali: quello che potrebbe non essere legale è l’uso che se ne fa, il download di software e musica protetti da copyright, non certo il software in sé. Di conseguenza la musica è diventata la vera frontiera del download illegale, molto più dei film per esempio.
Il motivo è semplice: la musica è fruibile da tutti, in ogni momento ed in tutte le condizioni, molto più dei film che mettono dei vincoli di percezione e di attenzione, che le note non pongono.
Quindi le mayor, negli anni, si sono fatte fregare l’opportunità del più grande mercato del mondo senza capire che, impuntarsi, sbattere i piedi e dire istericamente no, non ferma un mercato liquido come il mare. Non si ferma il vento con le mani, dice qualcuno.
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Spotify e la musica gratis tra Grooveshark e Pandora https://bit.ly/160KfLl via @6sicuro
Succede che nascono realtà come iTunes che rendono la musica semplice e scaricabile, a pochissimo, da tutti. Ma c’è un vincolo, un limite ad iTunes e a tutti i sistemi proprietari ovvero il fatto che, essendo proprietari, quello che viene comprato funziona solo su una piattaforma, solo su un sistema presumibilmente chiuso.
Si fa quindi strada nei “consumatori” l’idea che non sia il possesso a rendere la musica affascinante, ma il suo usufrutto. Diciamo che non me ne faccio nulla di possedere una canzone, se questa canzone la posso ascoltare quante volte voglio, dove voglio e come voglio per sempre.
Quindi nascono i servizi di musica in streaming come Pandora e GrooveShark e tantissimi altri.
Il primo, ovviamente blindato dall’Italia, è stato uno straordinario servizio rivoluzionario che faceva una cosa molto semplice ma geniale, darti la musica che, potenzialmente, ti sarebbe piaciuta.
In base ad un algoritmo, era sufficiente inserire una canzone perché il sistema avvicendasse brani “strutturalmente simili” a quella anche avevi scelto.
Un modo magnifico, straordinario per poter ascoltare autori a noi nuovi ma che incontrano i nostri gusti.
Altri servizi come GrooveShark, attualmente disponibili anche in Italia, hanno messo a disposizione un’enorme scelta musicale avvalorata dalla socialità. Essendo una web application pura, è possibile condividere quello che si ascolta con i nostri amici, sui vari social come Facebook o Twitter, i quali potranno ascoltare quello che ascoltiamo noi, senza spese di alcun genere.
I sistemi si finanziano con la pubblicità, quindi la piattaforma prende i soldi da chi vuole comprare spazi, ed in parte li ridistribuisce alle mayor sotto forma di diritti d’autore.
E il cerchio si chiude.
O meglio, se vogliamo parlare di chiusura del cerchio dobbiamo andare al fenomeno Spotify (su Apple Store e Google Play). Qualche dato per capire del colosso del quale stiamo parlando: nel giro di tre mesi il servizio di streaming ha visto il numero complessivo di ascoltatori passare da 20 a 24 milioni e in particolare gli abbonati a uno dei piani a pagamento aumentare di 1 milione raggiungendo così quota 6 milioni, il 25% del totale.
Il 90% degli utenti paganti ha sottoscritto il piano da 9.99 euro/dollari (che consente l’ascolto anche in mobilità) e nel corso del 2013 Spotify punta a incassare 684 milioni di dollari tramite gli abbonamenti a cui si aggiungono i soldi della pubblicità. (fonte)
Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio colosso mediatico che sta cambiando il modo che abbiamo di vivere la musica e di percepirla: il possesso è morto, così come la proprietà, in cambio della flessibilità.
Spotify ha fuso insieme le funzionalità di Pandora, creando una sorta di radio on-demand che ci sforna pezzi inerenti ai nostri gusti in modo continuativo, e la socialità di GrooweShark permettendo a tutti di vedere cosa ascoltano i nostri amici di Facebook.
Grazie ad un complesso sistema di sharing e di condivisione (complesso dal punto di vista progettuale ma semplicissimo per quello che riguarda l’esperienza d’uso) è possibile vedere non solo quale musica ascoltano i nostri amici, ma anche seguire le loro playlist.
Un po’ come le liste di Twitter per capirci: è sufficiente trovare qualcuno che abbia i gusti simili ai nostri e seguire le sue liste, per avere musica gratis e su misura per noi, h24.
- Spotify offre tre tipologie diverse di account
- Spotify free – completamente gratuito, l’account free permette di accedere a milioni di brani musicali in modo semplice e immediato dal desktop del proprio computer. Dal computer quindi, tramite il download di un software, non da device mobili. La versione gratuita è supportata da annunci pubblicitari.
- Spotify unlimited – musica senza limiti e senza interruzioni. Con questo tipo di account l’utente può accedere al servizio senza annunci pubblicitari sottoscrivendo un abbonamento da 4,99 euro al mese. Sempre da computer.
- Spotify premium – con l’account premium è possibile ascoltare brani su tutti i dispositivi mobili e accedere alle proprie playlist anche offline, con una qualità del suono ancora più elevata. Con l’abbonamento mensile da 9,99 euro, la musica sarà disponibile sempre, ovunque e senza interruzioni. (fonte)
Unico dettaglio, che non viene spiegato nemmeno nella policy di contratto: non è possibile ascoltare la musica su più device contemporaneamente. Se stai ascoltando l’iPad, per capirci, non puoi far partire anche l’iPhone sullo stesso contratto, sullo stesso account.
- Conclusione
In definitiva per ascoltare musica gratis esistono diversi modi, così come esistono diversi modi per ascoltarla – o comprarla – spendendo pochissimo ed avendo un contratto modello flat, ovvero non a consumo ma a tempo.
Si tratta solo di scegliere in base alla necessità: se siete spesso in mobilità ma non avete Internet, allora sarete costretti a comprare i brani da iTunes o da sistemi simili, per potere usufruire della musica su iPod o lettori mp3. Se invece avete lo smartphone perennemente connesso vi conviene fare una prova con Grooweshark per poi decidere se passare a Spotify comprando il servizio, o rimanere sul free ma con meno possibilità di condivisioni e di radio “intuitiva”.
Per ognuno di noi esistono delle possibilità infinite, ed il peccato originale delle mayor è stato non averlo capito, continuando a urlare e a dilapidare patrimoni in assurde cause contro il mondo che cambia.