Terremoto nel mondo dei social network: l’AGCM, dopo due indagini sui termini e le condizioni del servizio di WhatsApp, ha deciso di multare la nota piattaforma di messaggistica. Un motivo semplice quanto rilevante: scarsa chiarezza nella comunicazione dei termini di utilizzo. Gli utenti sarebbero stati indotti a credere che, se non avessero dato il consenso alla condivisione dei propri dati con Facebook (proprietaria della nota app), non avrebbero più potuto usufruire dell servizio.
WhatsApp, i perché della multa
Una comunicazione fuorviante quella sulla condivisione dei dati con Facebook, un’accusa che lascia il segno, soprattutto a chi, della comunicazione, ha fatto la sua fortuna. Un atteggiamento considerato scorretto, tanto da spingere l’Autorità garante della concorrenza e del mercato a infliggere la pesante sanzione.
Gli utenti, accusa Agcm, sono stati spinti ad accettare, entro 30 giorni, a pena di dover interrompere la fruizione del servizio. A mancare era l’evidenza della possibilità di poter anche negare tale consenso. A questo si aggiunge la pre-selezione dell’opzione pro-Facebook e la difficoltà di poter davvero esercitare tale opzione quando accettati integralmente i termini.
Situazione diversa per gli era già utente prima dell’aggiornamento (25 agosto 2016). Sempre secondo AGCM: “avevano, invece, la possibilità di accettarne parzialmente i contenuti, potendo decidere di non fornire l’assenso a condividere le informazioni del proprio account Whatsapp con Facebook e continuare, comunque, a utilizzare l’app“.
WhatsApp: clausole del contratto vessatorie?
Ma l’AGCM ha attivo un altro procedimento con l’app di messagistica. I controlli riguardano la vessatorietà di alcune clausole del contratto che il colosso USA sottopone agli utenti all’accettazione del servizio.
Dubbi sulle esclusioni e limitazioni di responsabilità di WhatsApp, definite dall’authority come “molto ampie e assolutamente generiche”, ma soprattutto sulla possibilità di interruzioni del servizio “decise unilateralmente da WhatsApp senza motivo e senza preavviso“.
Vessatorie, pare, anche le clausole che riguardano il diritto generico “esercitabile da WhatsApp di introdurre modifiche, anche economiche, dei Termini di utilizzo senza che nel contratto vengano preventivamente indicate le motivazioni e senza neppure prevedere modalità per informarne in maniera adeguata l’utilizzatore”. AGCM si è espressa in modo contrario anche il meccanismo di “silenzio assenso” che fa discendere l’accettazione dei nuovi termini “anche solo dalla mera inerzia inconsapevole dell’utente”.
Poco orientate alla tutela del consumatore anche la legge applicabile al contratto e alle controversie, sulla facoltà di Whatsapp di recedere dagli “ordini” e non prevedere rimborsi per i servizi offerti.
Anche la lingua del contratto ha punti che non convincono, con la generale prevalenza della versione in lingua inglese in caso di conflitto con la versione tradotta in italiano.
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