Le scelte che riguardano il futuro sono molto importanti e richiedono una serie di valutazioni. Tra queste è fondamentale quella relativa all’università : frequentarla oppure no? Diversi i criteri in base al quali ognuno di noi decide o ha deciso. Ma questa recessione ormai strutturale spinge verso decisioni molto pragmatiche per motivi economici di breve periodo, con le tasse universitarie in costante crescita, ma anche di medio-lungo periodo, quando ci si chiede quali saranno i reali sbocchi lavorativi a seguito di questo importante investimento di tempo e denaro.
E allora vediamo cosa sta accadendo nelle università italiane.
Tasse universitarie in costante crescita
L’Osservatorio nazionale Federconsumatori sulle imposte universitarie ha pubblicato i dati relativi all’anno accademico 2014/2015. L’università italiana costa mediamente tra i 299 e i 3.835 euro l’anno, a seconda delle fasce di reddito a cui appartiene il nucleo familiare dello studente, e nell’anno accademico in corso si registra una crescita in media dell’1,2% rispetto al 2013/2014. Studiare al Nord costa più che al Sud, mentre è il Centro Italia la zona più economica per chi vuole conseguire un titolo di studio superiore.
Ma torniamo agli aumenti e vediamo quanto rileva l’Ufficio Statistica del Ministero dell’Università : in dieci anni (tra il 2002 e il 2012, anno al quale sono aggiornati i dati del ministero) gli atenei hanno raccolto in tasse universitarie il 63% in più raggiungendo quota 2,08 miliardi di euro. Gli aumenti in proporzione sono molto più elevati nelle regioni meridionali, soprattutto perché partono da una base bassa e dunque hanno maggiori margini per gli incrementi.
Ai dati finora snocciolati aggiungiamo quelli dell’Ocse: gli studenti italiani, e le loro famiglie, sborsano mediamente mille euro l’anno per le sole tasse universitarie (non consideriamo poi vitto e alloggio per i fuorisede). Il nostro Paese va peggio soltanto di Inghilterra e Olanda, che però vantano sistemi di sostegno agli studenti, dunque borse di studio, più strutturati e consistenti.
Studenti in calo, ma con un dato in controtendenza: gli stranieri
In base ai dati di AlmaLaurea tra il 2003 e il 2012 il laureati sono calati del 20% nel Belpaese. Soltanto 3 diplomati su 10 decidono ormai di intraprendere il percorso universitario; l’immediata conseguenza riguarda il livello di scolarizzazione in Italia, dove soltanto il 21% della popolazione nella fascia 25-34 anni vanta una laure, mentre la media Ocse tocca il 39%.
Le nostre università però stanno registrando una nuova tendenza: l’incremento degli studenti stranieri. Se i giovani italiani decidono di abbandonare gli studi a 19 anni, tanti sono i ragazzi stranieri a scegliere l’Italia per conseguire una laurea. Gli stranieri rappresentavano l’1,2% dei laureati in Italia nel 2001, mentre nel 2013 hanno toccato quota 3,2%.
Di chi sono le colpe?
Il quadro sembra molto chiaro. Sullo sfondo una crisi economica strutturale, in primo piano l’aumento delle tasse e il calo delle iscrizioni, la cui correlazione non va né sottovalutata né considerata come unica causa-effetto della bassa scolarizzazione. La cornice è una polemica degli scorsi giorni, protagonista il viceministro del lavoro Michel Martone che un’intervista al Corriere della Sera ha parlato della crisi delle iscrizioni come “un problema di modelli culturali sbagliati”. Nel dettaglio il viceministro ha dichiarato: “Si è diffusa l’idea che la laurea sia inutile. Purtroppo si affermano modelli negativi di successo immediato quanto effimero. Mi riferisco anche alle tante copertine su personaggi come Corona”.
Al di là delle esemplificazioni, e posto che l’aumento delle tasse è dovuto a problemi di bilancio, di sprechi e di mancati trasferimenti dallo Stato, i quesiti aperti sono e rimangono tantissimi: in questa fase conviene investire negli studi universitari? Quali sono le reali opportunità lavorative conseguita la laurea? È giusto fare una scelta così importante considerando esclusivamente l’attuale situazione economica? E ancora, meglio iscriversi subito all’università oppure fare prima qualche anno di esperienza nel mondo del lavoro?
Tommaso
Per esperienza diretta e personale, il titolo di studio serve solo alla persona, sul mercato del lavoro ha un impatto limitato e comunque compensabile da una maggior esperienza. Se poi le competenze crescono, l’effetto diventa addirittura negativo in Italia, in quantospesso ne sai più del tuo potenziale capo che ti respinge al colloquio oppure punta a farti fuori immediatamente.
La soluzione migliore è, purtroppo, la vecchia raccomandazione… nella mia azienda parastatale batte il lecchinaggio con risultati paradossali – in una recente riorganizzazione neolaureati sono diventati capi di persone con ben superiore esperienza, maggior grado aziendale e titoli di studio – e consente una rapida carriera (iperraccomandato incapace, 3 scatti in 5 anni, a breve sarà dirigente).
Perciò studiate solo per voi, alle aziende italiane non servono in quanto per fare business servono le conoscenze, il lecchinaggio e saper muovere (ed ungere) le giuste ruote….
Massi Prad
Nessuna analisi dell’incremento di iscritti e laureati stranieri in Italia?
E della correlazione tra aumento degli studenti stranieri e diminuzione degli studenti italiani?
L’articolo ci dice che le tasse universitarie in Italia sono aumentate e gli studenti italiani sono diminuiti, mentre gli studenti stranieri sono aumentati.
La maggior parte degli studenti stranieri può dichiarare di aver un reddito zero o un reddito prodotto nel paese di origine molto basso.
Così ha diritto a non pagare le tasse universitarie o pagarle in misura fortemente ridotta (ad esempio solo il contributo per l’Azienda per il Diritto allo Studio Universitario: già solo il nome fa piangere).
Ha altresì diritto anche ad un posto nelle residenze universitarie, ad un buono pasto alla mensa al giorno e, spesso, alla precedenza nell’assegnazione dei lavori interni all’università stessa (ad esempio nelle biblioteche).
Soprattutto riesce ad ottenere una borsa di studio non irrilevante (circa trecento euro al mese che, se non si deve pagare quasi nulla per vitto, alloggio e tasse universitarie, non è poco).
Il tutto è finanziato con le imposte che i cittadini residenti in Italia pagano (soprattutto l’I.R.P.E.F.).
In buona sostanza i genitori degli studenti italiani pagano le imposte, tra le più alte al mondo. I loro figli non possono fare studi universitari per motivi economici e di reddito.
Studenti stranieri, figli di genitori che pagano imposte in altri paesi, vengono in Italia a spese dei contribuenti residenti in Italia, la stragrande maggioranza dei quali sono italiani e discendono da italiani che hanno “fatto” questo paese, università comprese.
Così è. In Italia.