Anatocismo, un’espressione spesso utilizzata quando si parla di interessi e banche, ma non sempre chiara a tutti i correntisti. Il termine deriva dal greco anà (di nuovo) e tokòs (interesse) ed è utilizzato per indicare la capitalizzazione degli interessi, ovvero l’azione con cui vengono sommati gli interessi al capitale sul quale sono stati calcolati. In questo modo è possibile far produrre a questi ulteriori interessi supplementari.
Anatocismo bancario: qual è il suo significato?
Per farti capire subito di cosa stiamo parlando, ti faccio un esempio: su un finanziamento di 10.000 euro a tasso di interesse del 10%, nel primo trimestre l’interesse calcolato e da pagare sarà di 250 euro. Nel trimestre successivo però gli interessi cresceranno ancora perché il 10% non sarà  più calcolato su mille euro ma su 10.250 euro. Una prassi che si ripeterà trimestre dopo trimestre.
Il cosiddetto calcolo degli interessi sugli interessi negli anni ha portato molti correntisti a vedersi sottrarre cifre rilevanti, cifre che ovviamente non avrebbero dovuto essere versate. Una pratica poco conosciuta, ma che a volte può avere un impatto rilevante sui conti.
Da un punto di vista giuridico, in un’obbligazione pecuniaria, l’applicazione dell’anatocismo bancario porta il debitore a pagare non solo il capitale e gli interessi concordati, ma anche ulteriori interessi che vengono calcolati su quelli già computati e scaduti. Il debitore si trova così a dover restituire una cifra sempre crescente.
Volendo semplificare, un conto corrente dà diritto a interessi che la banca paga ogni anno. Quando però si chiede un finanziamento o un fido alla stessa banca, questa spesso applica gli interessi trimestralmente e fa pagare tali interessi sul capitale iniziale a cui aggiunge quelli del mese prima.
Anatocismo bancario: le sentenze
Nonostante le polemiche ed i dibattiti in tema, l’anatocismo bancario è stato legale sino al 26 luglio 2014, data in cui con il voto del Senato alla legge di Stabilità veniva eliminato. Una cancellazione che, tuttavia, non si era tradotta in concreto a causa della necessità di un successivo passaggio del CICR (il Comitato interministeriale per il credito e risparmio), che aveva il compito di regolamentare e far applicare così la non ammissibilità del calcolo degli interessi sugli interessi.
Servì un anno e l’intervento del Tribunale di Milano per dire basta all’anatocismo. Quest’ultimo stabilì che bastava la semplice previsione di legge per vietarlo.
Una posizione confermata nel Decreto Legge Banche, a firma Sergio Boccadutri (Pd), approvato nel 2016 dalla commissione Finanze della Camera. Il decreto stabilisce che interessi creditori sui conti correnti e sui conti di pagamento e interessi debitori siano conteggiati allo stesso momento, ovvero al 31 dicembre.
È inoltre vietata la pratica di anatocismo sugli interessi debitori maturati per finanziamenti, sconfinamenti con o senza fido e per le carte di credito revolving, le carte di credito da rimborsare mensilmente.
L’emendamento approvato però prevede che, per aperture di credito su conto corrente o conto di pagamento e in caso di sconfinamento (con o senza fido), “il cliente può autorizzare preventivamente” (alla firma della stipula) “l’addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili“, ovvero il 1 marzo di ogni anno.
Un passaggio che lascia qualche dubbio. Se al 1 marzo sul conto corrente su cui l’Istituto va ad addebitare gli interessi mancano soldi, gli interessi che non vengono pagati sarebbero capitalizzati, cioè l’anno seguente a cui si dovrebbero pagare altri interessi. Una norma che rischia di non eliminare il problema anatocismo, soprattutto per quei correntisti in difficoltà .
L’anatocismo bancario potrebbe dunque restare tecnicamente applicabile nei casi di clienti incapienti. È comunque possibile revocare in ogni momento tale autorizzazione, basta si faccia richiesta entro il 1 marzo di ogni anno.
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